Κυριακή 14 Ιουνίου 2015

Συγκλονίζει η συνέντευξη που έδωσε ο διοικητής του νοσοκομείου Ελπίς, Θεόδωρος Γιάνναρος στη διαδικτυακή έκδοση της "Corriere della Sera" (Vid)

Βίντεο-συνέντευξη με τον διοικητή του νοσοκομείου Ελπίς, Θεόδωρο Γιάνναρο, αναρτήθηκε στη διαδικτυακή έκδοση της «Corriere della Sera» με τίτλο «Δέκα χιλιάδες αυτοκτονίες σε πέντε χρόνια, η τελευταία ήταν του παιδιού μου».
«Από την αρχή της κρίσης, το 2011, έχασαν την ζωή τους περίπου 11.000 άτομα, αυτοκτόνησαν. Είναι μια μεγάλη πόλη, όχι ένα χωριουδάκι. Μια μεγάλη πόλη εξαφανίσθηκε από τον χάρτη, ο γιος μου ήταν ένας από αυτούς», δηλώνει στη συνέντευξη ο διοικητής του νοσοκομείου και προσθέτει: «Δεν ξέρω με ποιον τρόπο κάποιος μπορεί να εξηγήσει αυτό που συνέβη. Πολλά άτομα προσπάθησαν να ...
αυτοκτονήσουν, αλλά τους έσωσαν, ενώ δέκα χιλιάδες έχουν ήδη πεθάνει», προσθέτει.

«Τώρα οι τράπεζες άρχισαν να παίρνουν τα σπίτια μας. Πόσους άλλους νεκρούς χρειάζονται για να καταλάβουν;» αναρωτιέται ο Θεόδωρος Γιάνναρος, αναφερόμενος στα χρέη των πολιτών, που είναι αποτέλεσμα της κρίσης, και συμπληρώνει: «Αυτή είναι μια ερώτηση στην οποία δεν είμαι σε θέση να απαντήσω. Το μόνο που ξέρω είναι ότι έχουμε όλοι την ίδια καρδιά, το ίδιο χαμόγελο, τα ίδια λυπημένα μάτια των ανθρώπων του υπόλοιπου κόσμου, αλλά είμαστε τόσο κλειστοί μέσα στην Ευρώπη».
«Αν στην Γερμανία ένα σκυλί πεθάνει με άσχημο τρόπο η είδηση προβάλλεται στις τηλεοράσεις και στις εφημερίδες. Είδατε να γίνεται αναφορά σε δέκα χιλιάδες άτομα που αυτοκτόνησαν; Δεν νομίζω, διότι αυτή την στιγμή η αξία της ανθρώπινης ζωής είναι τίποτα. Μπορώ μόνο να πω ότι ντρέπομαι που είμαι Ευρωπαίος» υπογραμμίζει, τέλος, στην συγκινητική του μαρτυρία, ο διοικητής του νοσοκομείου Ελπίς.
Theodoros Giannaros tiene gli occhi fissi sul computer e una sigaretta tra le dita. Guarda le immagini di alberi, di spiagge. È talmente assorto da non accorgersi che la cenere sta coprendo la tastiera. Compare l’immagine di un giovane. Bello, sorridente. «È mio figlio, si è tolto la vita pochi giorni fa. Aveva 26 anni. Quando l’ho saputo non sono riuscito a fare altro che questo video». Atene, Ospedale Elpis: un complesso di palazzine bianche nel centro della città. È un giorno festivo, ma il dottor Giannaros si fa trovare nel suo ufficetto di direttore. Siede lì dal 2010. È un biologo molecolare, specializzato in genetica. Ha studiato a Karlsruhe, in Germania, a San Francisco e a Vienna. Da anni è un punto di riferimento assoluto per tutta la Grecia. Quando interviene sui giornali o in tv nessuno si permette di contraddirlo. Fruga ancora nel pacchetto di nazionali, tira fuori l’ennesima sigaretta e un’altra sassata: «Mio figlio è solo l’ultimo di una lista interminabile. Da quando è iniziata la crisi in questo Paese si sono suicidate 10 mila persone. Sì ha capito bene: 10 mila. È come se una grande città fosse stata cancellata dalla carta geografica della Nazione». 

Giannaros ha un passato nelle truppe speciali: mostra le foto delle sue ultime missioni, in mimetica, immerso in un fiume fino alle ginocchia. È come se avesse bisogno di una pausa, vuole raccontare ancora qualcosa della sua famiglia, degli altri due figli, 24 e 28 anni. «Anche il più piccolo è un soldato». Lo dice con un sottinteso chiaro: lui si è salvato. Ma quanti sono i giovani senza speranza? Le statistiche si afflosciano come svuotate di senso al cospetto della forza, della dignità di quest’uomo. «Appena arrivato qui incontravo pazienti che mi chiedevano: ma quanto devo pagare per operarmi qui? Quanto per una lastra? Nulla, rispondevo, questo è un ospedale pubblico. Poi mi sono fatto portare il registro delle prenotazioni e ho capito. La lista d’attesa risultava sempre infinita, ma con una buona “fakelaki” si poteva comodamente saltare la fila». “Fakelaki”, la bustarella. «In cortile ho fatto mettere dei cartelli con una busta sbarrata con una grande x rossa. Significa che qui non si accettano tangenti». 

Le parole del più atipico dei manager conducono nell’antro della crisi. I ragionamenti sulla sostenibilità del debito lasciano il posto alla scarsità di siringhe, bisturi, persino guanti per la sala operatoria. «Abbiamo sviluppato un network di scambi tra le diverse cliniche. Andiamo avanti anche grazie a donazioni in arrivo dalla Svizzera, dall’Austria, dalla Germania». Theodoros accende un’altra sigaretta. Aspira profondamente, poi scarica fumo e una lunga invettiva. Contro le vecchie classi politiche, le dieci famiglie che hanno monopolizzato l’economia del Paese, le «idiote» prescrizioni della «troika», il Fondo monetario, la Bce, la Commissione europea, Angela Merkel. Spera che Alexis Tsipras possa raggiungere qualche risultato, «ma deve avere dietro tutti i partiti, tutta la Grecia. Questo è l’unico modo che abbiamo per sopravvivere». Già, «sopravvivere». 

«Penso continuamente a quei 10 mila morti che abbiamo seppellito nel silenzio. Penso a mio figlio. E penso che se in Germania un cane muore in malo modo, ecco che il caso finisce sui giornali, se ne dibatte in tv. Ma avete mai sentito parlare dei nostri giovani, dei nostri anziani che si sono suicidati? La guerra civile della Jugoslavia ha fatto 20 mila morti. Quella, però, era una guerra. Che cos’è, invece, questa nostra strage? È una domanda a cui non so rispondere, posso solo dire che in questo momento mi vergogno di essere un europeo». Forse è arrivato il momento di andare. Ma Theodoros ha ancora qualcosa da dire: «In questi anni sono stato corteggiato da tutti i partiti, avrei potuto fare il ministro cento volte. Invece ho sempre voluto restare un uomo libero e mi sono fatto un mare di nemici. Continuo a stare qui, a lavorare per 1.400 euro al mese, cinque volte meno di qualche anno fa. Non posso permettermi la macchina, viaggio in scooter e giro con una pistola. Prima che mio figlio se ne andasse così, mi sentivo anche un privilegiato». ( gsarcina@corriere.it )

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 "O σιωπών δοκεί συναινείν"

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